08 Apr Aquitania, Golfo di Arcachon
Stanche di aspettare mariti e fidanzati di ritorno dal lavoro in mare, le donne di Arcachon si sono impegnate in un’attività integrativa dell’economia domestica: una forma intelligente di turismo, mutuata dall’agriturismo, per far avvicinare i numerosi visitatori che frequentano le località balneari del golfo al mestiere quasi sconosciuto dei loro uomini. Sono le donne infatti che gestiscono i servizi a terra per quella che è stata definita la ‘via delle ostriche’: non soltanto un percorso naturalistico tra villaggi di pescatori, foreste e spiagge incontaminate, ma soprattutto la possibilità di vivere a diretto contatto con gli ostricoltori, partecipando alle uscite in mare, alla semina, alla raccolta e alla lavorazione dei molluschi. L’itinerario si svolge tutto intorno al golfo; e il programma giornaliero di solito si conclude in un’allegra serata, degustando ostriche e altri prodotti tipici della regione. Davvero un’esperienza di vita che ci piace di raccomandare. La visita inizia da Cap Ferret, la punta estrema della stretta e lunga penisola che separa le calme acque della baia dall’Atlantico. Davanti al capo, sul versante opposto del canale largo poco più di tre chilometri, si affacciano le dune di Pilat, le più alte d’Europa (vedi PleinAir n. 362). Spettacolo ancora più suggestivo se visto dal balconcino del faro, un cilindro bianco e rosso che svetta sopra le fitte chiome dei pini marittimi. La storia del faro mostra la tenacia degli abitanti di queste terre. Costruito nel 1840 e funzionante con la luce di una lampada a petrolio, fu elettrificato nel 1928. Con i suoi 50 metri di altezza, era visibile a oltre sessanta chilometri di distanza e per questo motivo, ritenendolo un importante obiettivo militare, fu distrutto nel 1944 dai tedeschi. Ma senza quella guida uscire in mare era diventata una pazzia; così i pescatori si ingegnarono a costruire un faro di fortuna utilizzando residuati bellici: alcune lamiere di alluminio unite tra loro a formare una parabola e una lampadina infilata in un fiasco di vetro. Ma bisogna attendere il 1949 prima di rivedere, così come lo vediamo oggi, il raggio luminoso spazzolare l’orizzonte. Da Cap Ferret si prosegue verso nord incontrando i primi villaggi di ostricoltori: Herbe, con le sue capanne colorate; Canon che prende il nome da un antico cannone esposto all’ingresso del paese; Piraillan con il porticciolo che si addentra alle spalle del villaggio verso l’omonima riserva naturale, e poi Jacquets; Four e Claouey, uno di seguito all’altro a formare una lunga striscia costiera di campi e allevamenti di ostriche. Ma c’è anche altro da vedere: a Herbe si trova una bella costruzione moresca realizzata da Leon Lesca, progettista del porto di Algeri. A Paraillan gli appassionati del sole e delle spiagge deserte trovano sull’Atlantico centinaia di chilometri di spiaggia, dune di finissima sabbia e foreste di pini: un luogo ideale per nuotare, passeggiare e pedalare, ma anche per praticare surf e pesca. A Grand Crohot, per esempio, ampi spiazzi di parcheggio sono collegati a sentieri sabbiosi che si inerpicano sulle dune per poi ridiscendere verso l’oceano. Legè è la cittadina più a nord del golfo. Da qui si prosegue attraversando piccoli centri balneari molto animati: Ares, Andernos, Lanton, Audenge e Biganos. La strada costiera è un susseguirsi di negozi, mercati, ristoranti e baracchini dove assaporare piatti tipici e degustare le onnipresenti ostriche. La lunga Promenade de Certes, che collega lungocosta il porto di Cassy a quello di Audenge, permette di osservare in tutta sicurezza il fenomeno delle maree che qui raggiungono anche quattro metri di variazione in altezza. A Le Teich, un sentiero litorale di sei chilometri attrezzato con aree di sosta, capanni e torri di osservazione, attraversa il parco ornitologico di Teich: un paradiso per il birdwatching dove osservare l’avifauna e, in ottobre e novembre, fotografare diverse specie di uccelli migratori. A pochi chilometri dal parco, proseguendo sulla costa sud, si raggiunge il centro più importante di ostricoltura di tutto il golfo, Gujan-Mestras con i porti di Barbotiere, Canal, Gujan e Larros. A Larros si visita la Maison de l’Huitre, un piccolo ma interessante museo sulla storia e i metodi di allevamento delle ostriche. Proprio qui, inoltre, si trova la Maison Mazurier Cyril, dove abbiamo prenotato la nostra giornata con gli ostricoltori. Un’esperienza analoga a una giornata di vendemmia, con la differenza che la raccolta avviene in mare sfruttando la bassa marea e si naviga sulle tipiche barche locali tra i bassi fondali del golfo. Lasciata la tranquilla atmosfera marinara e gli intensi profumi di alghe e molluschi, si raggiunge l’animatissima Arcachon: ristoranti, pub, discoteche, lungomare e viavai di barche cariche di turisti in visita ai campi di ostriche. Ma il viaggio non è ancora finito: prosegue fino alle dune di Pilat. Ben 114 metri di sabbia si alzano all’improvviso tra i pini marittimi ricoprendo un tratto di costa lungo circa tre chilometri. Salirci sopra camminando sulla sabbia, davvero calda nelle giornate soleggiate, è impresa da atleti. Altrimenti si utilizza una scalinata, meno faticosa ma ugualmente sfiancante. Così si rivede il faro di Cap Ferret da dove siamo partiti. Davanti, l’oceano spinge la sabbia sulla costa, a destra la baia è percorsa da decine di barche, alle spalle una fitta foresta di pini nasconde campeggi e piste ciclabili…
Una giornata da ostricoltore All’alba, la nebbia avvolge la barca che scivola sulle acque della laguna. Sul ponte, ingombro di ceste vuote, alcuni turisti ascoltano le spiegazioni di Monsieur Mazurier: ‘L’ostrica ‘ un mollusco: si nutre di plancton filtrando l’acqua di mare e vivendo aggrappata a quello che trova sui fondali sabbiosi. Per crescere ha bisogno di temperature costanti, leggere correnti marine, un grado di salinità non eccessivo: il bacino di Arcachon è un posto ideale. I primi tentativi di allevare le piccole ostriche che crescevano spontaneamente nel golfo iniziarono nel 1852, ma la svolta decisiva venne nel 1859 quando il naturalista Victor Costes notò che i molluschi si attaccavano più facilmente a manufatti di terracotta. La cosa meno costosa da immergere in mare all’epoca erano le tegole dei tetti e fu così che iniziò la produzione. Dieci anni dopo fu invece il caso, come spesso accade, a dare una mano. Durante una tempesta, un peschereccio proveniente dal Portogallo dovette gettare parte del pescato in mare, tra cui ostriche portoghesi, strette, lunghe e molto più resistenti delle nostre, che proliferarono facilmente. In seguito, un muratore di Arcachon di nome Michelet ebbe l’idea di ricoprire le tegole con un impasto di calce e sabbia che facilitava il distacco dei molluschi; e la produzione aumentò in modo considerevole. Fino al 1970, quando un’epidemia contagiò le ostriche portoghesi e costrinse gli allevatori a introdurre nel bacino ostriche giapponesi. Dopo un’ora di navigazione, si raggiunge il campo di Monsieur Mazurier. Il livello dell’acqua scende rapidamente a causa della bassa marea. Alcune ceste piene di piccole ostriche sono vuotate in mare per seminare parte del campo. La riproduzione avviene tra giugno e agosto quando i molluschi adulti liberano le uova. Correnti e maree fanno sì che le uova si depositino sulle tegole accatastate sul fondo. Dopo otto mesi si staccano con un raschietto le piccole ostriche di circa quattro centimetri, che vengono selezionate e poi messe in sacchi di plastica a maglia fine. Una volta si buttavano in mare libere ma molte finivano in pasto ai granchi. Dopo circa due anni le ostriche sono di nuovo portate a terra, separate, divise per dimensione e riportate in mare in sacchi a maglia più larga. Le ore passano rastrellando il campo, ormai all’asciutto, e riempiendo le ceste di ostriche infangate. Verso mezzogiorno l’alta marea ricomincia a fluire in mille canali sabbiosi. Giusto il tempo per mangiare un panino e l’acqua arriva alle caviglie. Bisogna sciacquare in fretta le ceste piene e caricarle a bordo. Poi lentamente la barca si stacca dal fondo e a metà pomeriggio già due metri d’acqua ricoprono il campo: ‘ l’ora di rientrare… ‘Occorrono circa quattro anni prima che le ostriche siano pronte per essere commercializzate. Molte si buttano perchè vuote, mangiate da predatori naturali come le stelle marine che aprono il guscio con i tentacoli, o le conchiglie a cono che lo forano. A Port Larros, le ostriche sono portate all’interno del magazzino per la pulitura, la selezione e l’insacchettamento. Mentre si lavora al tavolo indossando grembiuli di plastica e guanti, Madame Mazurier continua il racconto del marito. Nel golfo i terreni di coltura sono ormai tutti assegnati. Ci sono 4.330 concessioni, 500 ettari di coltivazioni, 5 milioni di tegole immerse ed esportiamo 10.000 tonnellate di ostriche l’anno. Per questo motivo molti di noi hanno deciso di limitare la coltura alla fase d’incubazione. Oggi, il bacino di Arcachon è il principale produttore e fornitore di ostriche da allevamento d’Europa. Molte vanno in Bretagna ma riforniamo anche la Normandia, la Spagna, l’Irlanda e anche qualche ostricoltore del Mediterraneo. E’ sera quando a tavola, davanti a una buona bottiglia di vino bianco, si degustano in compagnia i frutti raccolti in mare. Oggi si rimane con gli ostricoltori solo una giornata, ma molti di loro pensano già di ristrutturare capanne e magazzini per accogliere quanti sono interessati a trattenersi più a lungo.
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